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FEDERICO GUGLIELMI E LA STORIA DEL VINILE: LA PERSISTENTE BELLEZZA DELLA FRAGILITÀ (LATO B)

Ago72017
Casa del Vinile

Nella prima parte si è parlato del fascino dell’oggetto concreto a fronte della musica impalpabile offerta dal digitale. Stavolta Federico Guglielmi dice la sua sul Record Store Day e le sue insidie commerciali e, tra rarità, collezionismo e racconti di un’epoca a dir poco magica, ci porta alla scoperta delle grandi qualità del supporto audio più longevo della storia.

LEGGI LA PRIMA PARTE DELL’INTERVISTA! CLICCA QUI!

Parlavamo di collezionismo quasi maniacale, al punto che per qualcuno andare a caccia di vinili diventa addirittura un investimento. C’è anche chi scherza sul fatto che il vinile possa assicurare la pensione che i giovani non avranno. Tu consiglieresti di investire in vinile?

Per le piccole etichette, che devono sopravvivere, produrre edizioni limitate è conveniente. Certo, ne fanno la tiratura che sono ragionevolmente certi di vendere, ma la tendenza è a produrre edizioni che sono già rare all’uscita. Il punto è che, non solo non possiamo sapere se ci saranno i vinili domani, ma soprattutto ci sarà qualcuno disposto a pagare 10 volte il valore di un disco che tu hai comprato a 20 euro? Io ho qualche dubbio. Conosco almeno tre persone che si sono comprate casa facendo collezionismo nell’arco di anni, ma erano altri tempi, si vendeva di più. C’era un tale che conoscevo, un genio, che nelle giacenze di magazzino, spulciando tutte le note, scopriva che in quel determinato disco degli anni 70, ignorato da tutti, un tizio, che aveva suonato con la tale band, in un pezzo suonava il flicorno. Allora lui comprava a due lire tutte le copie che trovava di questo disco, le teneva da parte e inviava le sue liste in Giappone. I collezionisti giapponesi pazzi per il progressive italiano si interessavano e gliene richiedevano altri. Lui ne aveva 50 copie in casa. Parliamo di dischi venduti a 400-500.000 lire.

Ho letto il tuo post sul Record Store Day, da un lato è positivo ed emblematico che ci sia un giorno dedicato ai piccoli negozi indipendenti, dall’altro è un po’ fatto per approfittarne. Su cosa non sei d’accordo?

Come al solito è difficile non essere fraintesi. Qualcuno l’ha preso come un post contro i negozi. Assolutamente no. I negozi di dischi non si toccano e il Record Store Day è un’iniziativa carina che tiene viva l’attenzione. Quello che a me non piace essenzialmente è il meccanismo in base al quale le case produttrici distribuiscono il materiale. Escono dischi che non arrivano nei negozi per il RSD, non si sa dove vadano a finire, vengono già presi da qualcuno che sa che li venderà su eBay. Due anni fa per il Black Friday uscì un doppio 45 giri con 6 brani dei Pink Floyd registrati nel ’65. Ne uscirono 1000 copie distribuite a caso, una copia per negozio. Mi chiedo, perché farne solo 1000 copie? Ai Pink Floyd perdono tutto, ma che male c’è a farne 50.000 o 25.000? Sarebbero comunque state vendute tutte. Quante di quelle copie, invece, sono state vendute realmente? Non credo esista negoziante che metterebbe in vendita quel disco a 10 euro. Ci sono tante operazioni che non hanno senso. Prendiamo un altro caso, i cofanetti con l’opera omnia di un artista che però non è l’opera omnia perché mancano due 45 giri che poi usciranno separatamente al RSD dell’anno dopo. Il disco e il collezionismo sono due cose che possono marciare parallelamente ma se si fa una festa che poi in larga parte si basa sull’enfatizzazione del feticismo nei confronti dell’oggetto a me non piace.

Un’altra faccenda spinosa è quella che riguarda il più grande competitor dei negozi di dischi: internet. Reputi che gli acquisti online siano davvero una minaccia?

Anch’io approfitto di Amazon perché i prezzi sono vantaggiosi e non sono ricco. Non è colpa mia, non è colpa di nessuno. Il mondo va così. Purtroppo o per fortuna esiste Amazon. Certo tutte queste grandissime catene danneggiano il mercato, ma è un processo che ormai coinvolge tutti, basti pensare ai supermercati o ai grandi marchi. Io ho sostenuto i negozi di dischi per decenni e continuo. Non ho mai preso un vinile su Amazon. Chiaro che questo distrugge un certo tipo di approccio alla musica. Però devo dire che c’è stata anche un po’ di selezione naturale. I negozi rimasti sono come i ristoranti gourmet.

Rimangono solo quelli che hanno una particolarità, un’eccezionalità nella storia anche dietro.

Certo, quelli che hanno uno stock speciale, quelli il cui proprietario è competentissimo e ti sa dire vita morte e miracoli di chiunque. Sono morti tanti negozi di dischi ma i negozietti gestiti da gente brava sono ancora tutti lì, non si sono arricchiti, ma sono anche gestiti da appassionati. Fondamentalmente non vedo grandi differenze fra Amazon e Feltrinelli. Hanno solo un pubblico diverso. Chi va a comprarsi Emma Marrone da Feltrinelli o lo prende da Amazon non è lo stesso che va da Soul Food.

Ci vuoi raccontare il tuo primo disco? Che ricordo hai della sensazione di avere quell’oggetto?

Sì lo ricordo benissimo. Il mio primo acquisto consapevole di un album è stato una cassetta: “Tutto Fabrizio De André”. Era una raccolta di alcune delle prime incisioni per la Karim. Quando avevo 10-11 anni la mamma del mio migliore amico era un grande appassionata di De André. Andavo a giocare a casa sua e dal salone usciva la musica di De André, mentre la mamma cucinava e stirava. Questo cantante, diverso dagli altri, mi ha subito appassionato e così, quando vidi “Tutto Fabrizio De André”, lo presi. Quando ebbi il primo giradischi, invece, comprai “Il Mio Canto Libero” di Lucio Battisti, era il ‘72. Disco epocale sotto ogni profilo, bellissima la copertina, l’interno. Infine ricordo anche il primo 45 giri che andai personalmente a comprare. Sempre 1972, Festival di Sanremo. I Delirium di Ivano Fossati con “Jesahel”. Compaiono questi alieni, venti persone sul palco, tutti figli dei fiori, una cosa tremenda. Fanno questa canzone incredibile. Il giorno dopo a scuola ne parlavamo tutti e il pomeriggio stesso tutta la mia classe andò a comprare “Jeashael”. Ce l’ho ancora e l’ho consumato. Una cosa molto buffa che facevo è che, siccome si rovinavano, molti dischi, se prevedevo di ascoltarli parecchio, me li registravo in cassetta. Si sentivano molto peggio, certo, però mi ero comprato una piastra ottima.

Già all’epoca c’era l’ottica del vinile come oggetto da preservare.

Sì, perché si graffiavano facilmente e io, per dire, non li prestavo. Se qualcuno me ne chiedeva uno in prestito preferivo registrarglielo su nastro. Un mio caro amico, Giorgio Battaglia, il più grande appassionato italiano di reggae, si era fidanzato con una ragazza che aveva un fratello più grande. Questo ragazzo aveva un sacco di dischi ed era partito militare. Quindi lei prestava a Giorgio i dischi del fratello e Giorgio veniva a casa mia per registrarli per me e per lui. Se solo l’avesse saputo!
Ho avuto un’infinità di piastre a furia di consumare testine per registrare. Si andava assieme a comprare i dischi, ognuno ne comprava uno diverso poi si andava a casa di uno e si ascoltava insieme, si commentava, si condivideva molto, ma poni che qualcuno desse una botta al tuo disco… non c’era cosa più odiosa di sentire quel “Toc. Toc.”. Pensa che nei tardi anni 70 era uscito addirittura un aggeggio che si chiamava “riduttore di rumore impulsivo”. Una scatoletta con un potenziometro che interveniva sulla frequenza del toc del disco. Però se lo alzavi troppo copriva anche un po’ della musica. Magari in un altro punto c’era un acuto, un assolo che aveva la stessa frequenza del toc e lì sentivi un rumore peggiore del toc. Costava anche caro ma era perfetto se mettevi il disco a volume basso. Faceva sparire gli scricchiolii quando sentivi la musica più rarefatta. Dovrebbe chiamarsi SAE5000. C’è chi se lo vende ancora su eBay.

Mi viene in mente che nel libro “Come funziona la musica”, David Byrne dice che tutti noi abbiamo ascoltato musica a qualità bassissima, soprattutto da giovani, però questo non ha impedito ci appassionassimo.

È verissimo. Molti però sono appassionati di musica ma non l’hanno mai ascoltata sul serio. Una cosa carina da fare sarebbe acchiappare qualche ragazzo di 15-16 anni e fargli sentire su impianto ciò che ascolta in mp3. Anche se ascolti Fedez ti cade la mascella a sentirne i bassi… Sono certo che rimarrebbero folgorati e non ne potrebbero più fare più a meno. Pensa al volume. Cosa c’è di più bello del far casino? Quanto è trasgressivo piazzare a casa lo stereo a volume alto e far incazzare la mamma? Io ero già grande avevo più di 20-25 anni e mettevo gli Hüsker Dü a volume disumano con la porta chiusa. Si sentiva comunque in tutta casa e mia madre arrivava urlando. Una volta, fine anni 70, era uscito disco dei Dickies, band punk anni 70 specializzata in cover ultraveloci di pezzi famosi. Nel disco c’era, alla fine di una canzone, la registrazione di un incidente d’auto. Con un mio amico una notte portammo le casse del suo impianto sul terrazzo, mettemmo il punto preciso a massimo volume e si sentirono questa frenata e un botto pazzesco! Immediatamente tutte le finestre che si aprivano e la gente che si affacciava. Ho sempre amato il volume alto, senza follie da audiofilo ma bene. Per quello mi hanno sempre dato fastidio i dischi rovinati anche se poi, paradossalmente, molti miei dischi preferiti di area punk a livello tecnico sono terrificanti, registrati e stampati malissimo. Che dire, capitano questi strani cortocircuiti, mi piace sentire la musica bene però la musica che mi piace di più è registrata malissimo, che vuoi farci? È qualcosa che trascende il raziocinio.

Category: Casa del VinileAgosto 7, 2017
Tags: disodaysguglielmiintervistalato brecord storevinile
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Author: Riccardo De Stefano

Romano, classe 1987. È il Direttore di ExitWell, freepress magazine sulla musica alternativa. Scrive di Musica anche altrove (come su Classic Rock Italia) e organizza cose con il MEI (Meeting degli Indipendenti) e tiene workshop sul mercato discografico con ADASTRA.

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