Era il 1967 quando giunse la notizia: “Bob Dylan ha avuto un incidente in moto”. Il panico. È incosciente, in coma, è morto. Si vociferava di tutto. Nel frattempo, Dylan si era ritirato a vita privata in quel di Woodstock (a proposito, dell’incidente in moto non si sa nulla, al limite che ci si chiede se sia mai avvenuto), per scappare dalla calca mediatica che da anni ormai lo pedinava.
Iniziò così a collaborare con i vecchi musicisti del suo tour, ora ribattezzati The Band, suonando nello scantinato della loro casa in campagna, il Big Pink. Ore e ore di registrazioni, di inediti e cover, vennero realizzati e messi da parte. Finita quell’esperienza, Dylan consegnò alle stampe, qualche tempo dopo, il bellissimo John Wesley Harding (che conteneva la mitica “All along the watchtower”) mentre la band pubblicava il leggendario Music from Big Pink, con molte canzoni scritte e elaborate proprio durante il periodo con Dylan.
Quelle registrazioni sembravano non dover mai vedere la luce del sole. Almeno fino al luglio del 1969, quando la Trademark of Quality pubblicò quello che in breve divenne “il nuovo album di Dylan”.
Come?
Il disco si presentava completamente bianco, senza alcun riferimento all’artista in copertina né un vero titolo, eppure le registrazioni non mentivano: quello era Dylan. In breve la voce si sparse e il disco iniziò a comparire in alcuni negozi di dischi (ovviamente sottobanco) e ad essere anche trasmesso su alcune radio. L’album, in doppio vinile, conteneva registrazioni non ufficiali di Dylan dal primissimo periodo del 1961 (ribattezzate “Minnesota hotel tape”) fino alle ultime registrazioni con The Band, il materiale musicalmente più forte e di maggior appeal per il pubblico.
Non per la qualità delle registrazioni, che di fatto erano demo in un ambiente informale, ma forse proprio per l’aura di segreto che il disco celava – il poter ascoltare qualcosa di Dylan, QUEL Dylan, che non si doveva sentire – Great White Wonder, questo il nome che venne dato all’album per la sua immacolata copertina, rapidamente divenne richiestissimo, andando ad esaurire le 2000 copie di tiratura originale. Dopo la prima edizione, proliferarono selvaggiamente copie diverse, a volte con scalette mutate o differenti copertine, nel circuito underground: una sorta di bootleg del bootleg.
Era la prima volta che registrazioni inedite di un artista, anzi di una star, arrivavano illegalmente al pubblico, tramite vendita diretta, inoltre. Per quanto scontato e banale oggi, che la pirateria è ormai all’ordine del giorno, il successo della Great White Wonder ha mostrato come le nuove tecnologie unite alla richiesta di un pubblico, tramite espedienti illegali, potessero compromettere l’apparentemente solida industria discografica.
La Columbia, etichetta di Dylan, provò a muoversi fin da subito nel tentativo di bloccare e impedire la stampa e la vendita dell’album, anche se con scarsissimo successo: il materiale non era stato registrato in studi Columbia, The Band non era sotto contratto e lo stesso Dylan all’epoca era in una situazione discografica irrisolta.
Inoltre, l’idea – molto aderente alla controcultura che in quegli anni imperniava l’America – di andare contro “il potente”, contro cioè l’industria musicale massificata, aggiunse un particolare romanticismo nella compravendita sottobanco di musica “illegale”.
Così, solo nel 1975 la Great White Wonder venne, in un certo senso, “addomesticata”, quando fu dato alle stampe il The Basement Tapes, album che pubblicava e ufficializzava le registrazioni di Dylan e della Band di quasi un decennio prima.
Great White Wonder rappresenta un episodio importantissimo nella storia della musica, mostrando un interesse e una volontà che solo con le tecnologie della rete sarebbe poi esploso, paradossalmente portando alla morte della discografia, e in un certo senso del disco in quanto oggetto. Almeno fino ad oggi.